Seby Fazzino Photography

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Fotografia, testi e didascalie

2023-12-14 08:25

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Fotografia, testi e didascalie

L’utilizzo di titoli, didascalie e l’integrazione testuale nell’immagine, da parte dell’autore di una fotografia, è assai discusso.


L’utilizzo di titoli, didascalie e l’integrazione testuale nell’immagine, da parte dell’autore di una fotografia, è assai discusso, soprattutto tra fotoamatori, che spesso usano come dogma la frase “se la devi spiegare, non è venuta bene”, attribuendola al fotografo Ansel Adams.  


Nel tentativo di dare giusto peso concettuale alle argomentazioni ho approfondito la fonte senza essere riuscito a capire da quale contesto sia stata estrapolata la frase citata e che senso potesse avere per Adams. Conoscendo della sua ironia, mi chiedo se stesse facendo riferimento a qualche cosa di specifico, che se conosciuto potrebbe darne diversa interpretazione. Inoltre occorre inquadrare la figura di Adams nel contesto a cui appartiene, legato al gruppo di fotografi f/64, fondato dallo stesso Adams nel 1932, allo scopo di riunire alcuni fotografi aderenti alla straight photography, o fotografia purista, contraria ad ogni forma di manipolazione dell’immagine, il cui manifesto costitutivo fu sottoscritto da otto fotografi: Ansel Adams; Imogen Cunningham; Willard Van Dyke; John Paul Edwards; Consuelo Kanaga; Sonya Noskowiak; Henry Swift.


Sebbene la straight photography abbia dato il suo onorevole contributo alla storia della Fotografia, come tante altre in quel momento storico, dove molte correnti rinnegavano l’arte classica per sperimentare linguaggi nuovi ed alcune altre vi si ancoravano tenacemente nel timore del cambiamento, soprattutto se quel cambiamento metteva in discussione i sacri canoni estetici.


Dunque, la straight photography, non è la sola chiave di lettura a cui un fotografo contemporaneo dovrebbe attenersi nelle sue produzioni, ma a tutto il percorso, dal momento della nascita, nel 1826 con la "Veduta della finestra a Le Gras" ad opera di Joseph Nicéphore Niépce, ad oggi, sebbene sia facile circoscrivere il linguaggio al suo mezzo creatore, la fotocamera, che è uno strumento tecnico e questo ne determina anche il suo limite produttivo. Non è difficile riscontrare, ancora oggi, discussioni sulla fotografia, con una percentuale altissima di temi tecnici, da cui bisognerebbe sganciarsi, ottenuta una sufficiente padronanza del mezzo, se non se ne vuole diventarne succubi.


Durante i miei studi di arte contemporanea, capitava spesso di riscontrare valutazioni su come la fotografia fosse ritenuta, l’ancora classica tra le altre forme d’arte e certi preconcetti vengono usati per non voler spezzare la catena del linguaggio fotografico legato al concetto dell’istante e del verosimile (concetto sviluppato nel precedente articolo “Siete d'accordo se dico che la fotografia è bugiarda?”), a discapito di una contestualizzazione contemporanea che mette l’autore e la sua idea in posizione centrale, il quale può reclamare il diritto di utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione, per valorizzare il concetto di cui l’immagine è portatrice.


Per quanto riguarda gli studi attinenti alla relazione tra il testo e la fotografia, oltre a quelli specifici di Keim, faccio riferimento a Nancy Newhall in The Caption: The mutual relation of words photographs, pubblicato sul primo numero della rivista Aperture.
Newhall suddivide le didascalie in denotative e connotative. La prima categoria è caratterizzata da testi che raccontano l’immagine senza offrire un’interpretazione particolare, come avviene nel
reportage o nel fotogiornalismo. La seconda categoria, invece, direziona la lettura aggiungendovi il significato che l’autore intende attribuire alle immagini, spesso, questo tipo di didascalia aggiunge un nuovo livello di lettura.


La parola didascalia si riferisce a ogni genere di testo che accompagna un’illustrazione, volto a chiarire o far interpretare correttamente l’immagine stessa. Dare informazioni è quindi il suo scopo principale, che tramite questo elemento, può guidare il fruitore nella lettura della fotografia e nella sua comprensione.


Nel suo saggio del 1963 “La fotografia e la sua didascalia”, Jean Keim appoggia e approfondisce il concetto introdotto da Roland Barthes, secondo il quale, la fotografia è un messaggio senza l’ausilio della parola, che pertanto è indispensabile, affinché non venga frainteso. In base a quest’idea, il testo può aiutare a contestualizzare l’immagine nel tempo e nello spazio, relativamente allo scopo per cui è stata creata, concetto che Sara Munari spiega nel capitolo: “Fotografia e testi di accompagnamento”, del libro “Troppa fotografia, poca fotografia. Riflessioni sui linguaggi contemporanei”.


La fotografia presa ad esempio, di Oliviero Toscani, non potrebbe avere senso compiuto, senza l'ausilio del testo, aggiunge un livello significante che la sola immagine non potrebbe esprimere e che tutti possiamo comprendere in modo inequivocabile. L'autore non ha utilizzato spesso questo ausilio, ma in questo caso ha ritenuto indispensabile l'ausilio del testo nell'immagine.


Tutto fa parte di un percorso, che occorre conoscere interamente per porre le proprie basi identitarie, il rischio è quello di rimanere esperti di un mondo di nicchia e non comprendere la realtà del nostro tempo, che non si nutre di sola estetica e di regole accademiche e viaggia su un treno ad alta velocità e potrebbe capitare sempre più spesso, di vedere produzioni di autori contemporanei accreditati e di non comprenderne le ragioni.






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